Quando un lavoratore intende dimettersi, è tenuto a darne preavviso al datore di lavoro, in mancanza del quale dovrà versargli un’indennità di mancato preavviso. Esistono, però, alcuni casi, che contemplano la possibilità per il lavoratore di dimettersi senza alcun preavviso. Ciò si ha quando si è in prova, al termine di un contratto a tempo determinato, per risoluzione consensuale tra le parti, per la lavoratrice nel periodo di gravidanza e per il lavoratore durante il primo anno di vita del bambino.
Esiste, poi, una fattispecie prevista dall’art.2119 del codice civile, che consente al lavoratore di dimettersi senza preavviso in caso di “giusta causa”. Sono diverse le motivazioni che potrebbero dare vita alla giusta causa. Tutte presuppongono la tenuta di una condotta grave o omissiva da parte del datore di lavoro, tale da rendere non più proseguibile il rapporto di lavoro. La norma lega le dimissioni senza preavisso a una reazione tempestiva ai comportamenti del datore che le giustificherebbero, ma la disciplina va intesa in senso non restrittivo, cioè il lavoratore non è tenuto per forza a dimettersi immediatamente, in seguito a un’eventuale azione del datore di lavoro che giustifica la sua volontà, dovendo anche considerarsi che egli debba avere il tempo necessario per maurare la decisione.
Una prima causa potrebbe consistere nel mancato pagamento da parte del datore di lavoro di più di due retribuzioni mensili consecutive. In questo caso, è evidente che non esiste più il presupposto per andare avanti nella relazione lavorativa.
Un secondo possibile caso di dimissioni per giusta causa riguarda forme di mobbing o molestie subite dal lavoratore sul posto di lavoro, salvo il dovere di dimostrare i fatti. Le molestie potrebbero essere subite sia da parte di colleghi (mobbing orizzontale), sia di superiori, compreso lo stesso datore di lavoro (mobbing verticale). Un caso leggermente diverso si ha quando il datore di lavoro offende o mostra atteggiamenti irriguardosi nei confronti del dipendente o lo ingiuria.
Un altro caso, quando il datore di lavoro chiede al dipendente di compiere un atto illecito. Si tenga presente che le norme prevedono che il lavoratore non sia considerato responsabile, qualora abbia fatto presente formalmente a un superiore della illiceità dell’atto richiestogli e gli sia stato ordinato comunque di eseguire l’ordine.
Sono dimissioni per giusta causa, anche quando il lavoratore rientra nel ramo d’azienda ceduto a una nuova proprietà, che magari non rispetta le condizioni contrattuali stipulate dal precedente datore di lavoro, sostituendole con condizioni nuove, che il dipendente potrebbe non trovare soddisfacenti da un punto di vista economico.
Tra le altre motivazioni alla base di dimissioni per giusta causa ci sono l’omessa contribuzione previdenziale da parte del datore, lo spostamento da un ufficio a un altro del dipendente, senza che vi siano giustificazioni tecnico-produttive, la mancata adozione dell’azienda delle cautele necessarie a garantire la salute e la serenità professionale del lavoratore, l’adibizione del lavoratore al lavoro notturno quale pratica consueta di svolgimento del lavoro, senza che siano state adottate le procedure previste in questi casi dalla legge.
In tutti questi casi, quindi, non solo il lavoratore ha il diritto di dimettersi senza preavviso, essendo la responsabilità delle dimissioni proprio del datore di lavoro, ma gli dovrà anche essere versata l’indennità sostitutiva di preavviso e avrà lo stesso diritto all’indennità di disoccupazione. Quest’ultima, come sappiamo, in genere non è erogata ai lavoratori che si dimettono di loro spontanea volontà, bensì nei casi di licenziamenti individuali. Qui, però, il legislatore ha rilevato la peculiarità dell’atto delle dimissioni, frutto di una scelta “obbligata” del dipendente, essendo venuti meno i presupposti minimi per restare sul posto di lavoro.
Si consiglia di presentare subito la richiesta all’Inps dell’indennità di disoccupazione, avendo cura di motivare le ragioni delle dimissioni, allegando per via telematica la documentazione relativa a diffide, denunce, citazioni, ricorsi, sentenze nei confronti del proprio ex datore di lavoro, che provino la sua volontà di difendersi e che consenta all’ente di previdenza di trattare così il suo caso come se fosse di licenziamento. Al fine di non incorrere in qualche errore burocratico che invalidi la richiesta, si consiglia di affidarsi a un esperto, magari un Caf, un sindacato, un commercialista, un consulente del lavoro o un patronato.
Quanto alla forma con la quale rassegnare le dimissioni, possiamo affermare che la maggior parte dei contratti prevede l’invio di una lettera raccomandata al datore di lavoro, altri la semplice forma scritta di una missiva e anche consegnata a mano.
I contratti regolano anche la data di decorso delle dimissioni, che generalmente possono avvenire dal primo giorno o dal quindicesimo giorno del mese o ancora possono essere rassegnate in qualsiasi momento.
Le dimissioni hanno efficacia indipendentemente dall’accettazione del datore di lavoro e si rendono irrevocabili, una volta che egli ne sia venuto a conoscenza. Al contrario, possono essere revocate se la comunicazione viene ritirata prima che egli e venga a conoscenza.